Startup fintech e Italia. Amore e odio di un rapporto destinato a crescere(indipendentemente dalle criticità)*

Secondo l’Osservatorio Fintech & Insurtech della School of Management del Politecnico di Milano, il 2022 ha visto una crescita delle startup fintech e ad attestarlo sono proprio i numeri. In 12 mesi sono nate 27 nuove startup. Sono state capaci di raccogliere in totale ben oltre 900 milioni di euro di funding nonostante non sia così semplice avviare una startup tecnologica in Italia.

Ma quali sono i requisiti minimi indispensabili per cominciare a competere da zero in questo mercato?

Per esperienza posso sicuramente affermare che sono tre le variabili chiave: la giusta forma mentis, la possibilità di creare un team di livello, i contatti con lo specifico mercato di sbocco e in generale con quello finanziario locale e nazionale.

Quando parlo di forma mentis corretta, mi riferisco ad una mentalità il più libera possibile dagli attuali schemi di pensiero poiché è solo così che si potrà porsi domande nuove ai problemi che il mondo del business tutt’ora non riesce a risolvere, con o senza tecnologia.

Dovendo rivolgersi ai nuovi startupper, direi loro di non innamorarsi né della singola tecnologia, né del prodotto di per sé, bensì di innamorarsi di un sogno, di una visione a lungo termine e di come il mondo del fintech possa evolversi in un prossimo futuro grazie alla soluzione su cui proprio loro stanno lavorando. Questo approccio promuove una naturale attitudine al problem solving, ovvero la capacità unica di identificare i problemi con un approccio analitico ed empirico, lasciando solo in seconda fase l’elaborazione delle possibili soluzioni.

Nello specifico ambito delle startup fintech la tecnologia non è praticamente mai il fine ma è il mezzo per arrivare al fine che è, appunto, risolvere i problemi attraverso nuovi processi ottimizzati e strumenti che permettano di ridurre al minimo l’errore umano attraverso l’automazione o il supporto digitale delle attuali attività.

Riuscire a formulare le domande giuste è l’aspetto più critico, ed è necessario prendersi tutto il tempo indispensabile: se non si riesce a mettere a fuoco il problema, difficilmente si potranno proporre soluzioni innovative e portare un cambiamento nella Società. Come viene attestato da Einstein nella celebre frase: “If I had an hour to solve a problem, I would spend 55 minutes thinking about the problem and five minutes thinking about the solution” (relativa all’approccio a problemi di tipo ingegneristico), non dobbiamo mai sottovalutare un’approfondita analisi prima di ogni azione poiché può bastare una sola mossa a decidere il successo o il fallimento delle nostre iniziative di startup.

Non dimentichiamo le altre due variabili: il team e il mercato. Ed è in questi elementi che subentrano le maggiori criticità.

Creare un team affiatato è un requisito fondamentale. Le prime 5 persone deputate a dare una direzione all’azienda andranno ad incidere in modo sostanziale sul successo o meno della stessa. Qualora fosse possibile, ovvero semmai abbiate piena libertà di scelta e quindi disponibilità economiche per attrarre i giusti talenti, cercate di assumere da subito le menti più brillanti e i cuori più appassionati, questo indipendentemente dalla “legacy” del settore o da decisioni imposte e dal mercato del lavoro che è sempre più globale.

Nonostante il costo del lavoro sia molto alto in Italia per cui raggiungere stipendi di persone che operano nello stesso settore a livello internazionale sia molto difficile e possa prospettarsi come un ostacolo, cercate comunque di valorizzare al massimo i primi colleghi.

Altre criticità incombono nell’approccio con il mercato, una relazione che comporta l’investimento di tanto tempo ed un continuo sperimentare. Il primo anno gli startupper non dovrebbero preoccuparsi di fatturare, ma dovrebbero solo dedicarsi a comprendere il mercato e a sviluppare, di conseguenza, il proprio business.

Ma come fare se non si hanno a disposizione dei capitali che permettano di prendersi il tempo che serve?

La selezione del team e la sperimentazione sono strettamente connessi alla disponibilità finanziaria di cui la startup dispone. Se non si ha l’una, difficilmente si otterranno le altre.

Mentre all’estero, e in particolar modo negli Stati Uniti, è più facile riuscire ad ottenere dei finanziamenti, qui in Italia, la richiesta/pretesa da parte degli investitori istituzionali e formali è quella di avere già dei numeri, un business plan definito, un business model chiaro, il problema messo a fuoco.

L’avversione al rischio in Italia è alta e manca la fiducia verso il mercato e l’imprenditoria. Fattore influente è anche la poca padronanza e conoscenza della tecnologia da parte della classe dirigenziale e manageriale italiana. Si fatica a far percepire la bontà dell’investimento e sono pochi gli interventi strutturali significativi da parte del Governo a supporto delle startup. Sono aspetti che a lungo andare frenano l’innovazione e lo sviluppo.

Nonostante tutto la tecnologia e le startup ad essa connesse sia nel fintech che non, continuano però ad avere un certo appeal. Molte grandi aziende in Italia vorrebbero avere al loro interno un piccolo gruppo che faccia innovazione e sperimentazione, conseguentemente tantissime realtà decidono di farsi incubare. Questa potrebbe essere una strada da percorrere per molte piccole aziende, per le altre non resta che continuare e perseverare lavorando con tutte le forze per arrivare a trasformare la propria startup in una azienda strutturata che continui a crescere.

Alla domanda se sia possibile fare startup in Italia, mi sento di rispondere di sì nonostante le tante contraddizioni e condizioni di non miglior favore verso l’imprenditoria; l’alta qualità della vita e l’ottima qualità dei prodotti e dei pensieri made in Italy sono tutt’ora un valore da coltivare e promuovere.

*Chai Botta, Infrastructure Lead di Cherry Srl

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Cherry Srl è una startup fintech che progetta e fornisce prodotti e servizi innovativi nel settore del credito. Fondata nel 2019 da Mara Di Giorgio, Luca Bonacina e Giovanni Bossi, che ha messo a disposizione i capitali per lo sviluppo, Cherry è proprietaria della piattaforma Cherry Bit, che è in grado di recuperare, in maniera automatica e veloce, le informazioni necessarie a una profonda data remediation, supportando banche, servicer e fondi nelle attività di gestione e transazione di portafogli NPL, o di erogazione del credito. L’azienda opera anche nel settore real estate attraverso Cherry Brick, tool che offre un servizio di scouting di affari immobiliari tramite le aste in Italia, di crediti fiscali derivanti da procedure concorsuali e di procedure legali verso gli assuntori del credito.

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